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Le monete di Velia

Velia aveva una vera e propria zecca. Le Monete erano sia in argento che in bronzo e la loro emissione è attestata sin dalla nascita della città. Le sue monete continuarono a circolare fino a tutto il I sec a.c.. le monete più antiche erano incise solo su un lato e quasi sempre il simbolo rappresentato era un leone . Dal V sec a.c. iniziarono a circolare monete con e trambi i lati incisi ; su di un lato , forse la ninfa Hyele o la dea Athena e su l’altro il leone , solo o che azzanna un cervo. Nel tempo si aggiunsero altri simboli e quindi appariva la Civetta da un lato ed Atena dall’altro ( di faccia o di profilo). Tra il IV ed il III sec a.c. oltre a queste ultime simbologie si leggerà oltre al nome della città in greco ma anche quelli di alcuni maestri incisori come Kleudoros e Philishion. Il peso delle monete si aggirava intorno ai 7,76 gr frazionato a metà . Fu una moneta diffusissima in tutta La Magna Grecia e rispetto alle altre città non diminui mai il suo peso .

I mattoni di Velia

Prodotti a partire dal periodo ellenistico, verranno utilizzati anche in epoca romana. La tipologia di moduli sono fondamentalmente due: piccolo rettangolare con una sola scanalatura e quello rettangolare o quadrangolare con due scanalature (Semilater e Palmipes). I mattoni presentano due bolli con lettere greche; il primo è composto dalle lettere delta- eta ΔΗ e indica  lo Stato, il controllo di esso sulla produzione. Il secondo cambia a seconda della fornace che lo produce (ad esempio iniziali di produttori quali ΑΠΟ, ΕΡΜ, ΚΛΕΟΒ). Sono state trovate tantissime fornaci ed è risultato evidente anche il loro reimpiego in epoca medievale. La cosa sorprendente di questi mattoni è che rimangono circoscritti alla zona di Elea-Velia; non essendoci tracce di essi in altri siti, sono stati chiamati “velini”.

Filosofi a Velia

parmenideLa Scuola Eleatica, nata a Velia tra  il VI e il V secolo a.C., diede un contributo formidabile allo sviluppo futuro della logica, della dialettica e della matematica. I suoi principali rappresentanti furono Parmenide, fondatore della scuola, e il suo discepolo Zenone. Di Parmenide sappiamo che visse tra il 515 e il 440 circa a.C., era figlio di Pirete eleate, fu discepolo di Senofane, ebbe rapporti coi pitagorici ed era di stirpe illustre (Diogene Laerzio Vite dei filosofi).

A Velia è conservato un documento eccezionale, una stele con iscrizione dedicata a Parmenide, ouliades e physikos, medico naturalista, seguace di Apollo Oulios, protettore della salute. Nel mondo antico infatti, c’era una connessione forte tra filosofia, medicina e fisica. La stele fu rinvenuta nel 1962, nel quartiere meridionale (oggi è conservata e visibile nella Cappella Palatina). La stele è stata integrata con una testa di filosofo (trovata separata nel 1966 nello stesso edificio) considerata il ritratto di Parmenide. Entrambe, sia la stele che la testa, reimpiegate nel complesso dell’Insula II, sono databili al I secolo d. C.  e testimoniano l’intenzione di onorare la memoria del filosofo anche nel periodo imperiale quando la città, ormai romanizzata, nutriva comunque profondo rispetto della grecità, celebrandone i personaggi più rappresentativi.

Parmenide espose le sue idee  in un poema in versi, intitolato Sulla natura di cui restano solo pochi frammenti. Tuttavia, dagli scritti di Platone e di Aristotele emergono molte testimonianze sul maestro di Elea e sul suo pensiero. Nel Proemio, che ci è pervenuto quasi interamente, Parmenide descrive un viaggio immaginario in cui le Eliadi, figlie del Sole, lo conducono su di un carro tirato da cavalle percorrendo una via non battuta dagli uomini, verso la luce fino ad una porta dove si incontrano i sentieri del Giorno e della Notte. La dea della giustizia Dike gli apre la porta e lo lascia passare. Poi arriva al cospetto di una dea (non identificata) che lo accoglie benevolmente e gli rivela la distinzione tra le false opinioni degli uomini e la verità assoluta. Così la dea parla a Parmenide: “ O giovane, compagno di immortali guidatrici, giungi alla nostra dimora… rallegrati perché una sorte non triste ti ha condotto a percorrere questo cammino, infatti esso è fuori dalle vie degli uomini ma dentro una legge divina. Bisogna che tu apprenda tutto, il solido cuore della ben rotonda Verità e anche le opinioni dei mortali nelle quali non c’è una vera certezza”. 

Nel frammento 2 si legge: “L’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere. Ora io ti dirò quali sono le vie della ricerca che si possono pensare: l’una che è …e che non è possibile che non sia (è il sentiero della verità). L’altra che non è… quindi un sentiero su cui nulla si apprende”.

 La grande intuizione di Parmenide è che non esiste il pensiero del nulla perché si può pensare solo ciò che esiste. Tutto quanto venga colto dal pensiero è essere.  

Zenone, nato probabilmente intorno al 490 a.C., fu discepolo di Parmenide, è considerato l’inventore della dialettica. Fu uomo illustre in filosofia e in politica, visse ad Elea. Secondo Plutarco, Zenone tentò di uccidere il tiranno Demilo e, avendo fallito, per non rivelare l’identità dei suoi complici, «con i suoi stessi denti si strappò la lingua e la sputò in faccia al tiranno”. Scrisse un’opera in prosa Sulla natura in cui, con una serie di argomentazioni, sosteneva in forma paradossale le tesi di Parmenide dimostrando che qualora si neghi la teoria parmenidea dell’essere, si è costretti a cadere necessariamente in contraddizione. Zenone difende l’unitarietà dell’essere di contro i sostenitori della molteplicità. Per fare ciò si servì di un metodo, la dialettica, che consiste nel confutare le tesi dell’avversario tramite le conseguenze che derivano dall’ammissione in via ipotetica delle stesse. Famosi sono i suoi paradossi, come quello di Achille e la tartaruga. Achille piè veloce sfida nella corsa il lento animale e gli da anche un vantaggio. Tuttavia non raggiungerà mai la tartaruga perché dovrà percorrere gli infiniti spazi che colmano la distanza tra i concorrenti. Su questi concetti di spazio divisibile all’infinito rifletterà la matematica moderna e il paradosso si risolverà con un concetto matematico che gli antichi Greci non possedevano: la somma di infiniti addendi che può infatti dare origine a un numero finito (la distanza che Achille percorrerà prima di raggiungere la tartaruga). 

Medici a Velia

A Velia era attiva una scuola di medicina e lo confermano testimonianze letterarie, epigrafiche e archeologiche. Iscrizioni del I secolo d.C. apposte su statue o steli celebravano medici locali. Oulis è il nome riportato da alcuni medici noti a Velia e testimonierebbe il culto di Apollo Oulios, guaritore.

Alla scuola è collegato il filosofo greco Parmenide, definito in una stele acefala ritrovata nell’insula II, con gli appellativi di physikos e ouliades, fisico e medico.

Dalla scuola medica di Elea sarebbe derivata quella attiva a Salerno in età medioevale, che basava la sua disciplina sull’uso sapiente delle erbe officinali già ben note anche ai medici velini.

La tradizione letteraria insiste nel ricordare la città come rinomato luogo di soggiorno e cura grazie al clima e alle acque termali.

Il poeta  Orazio, in una sua epistola, chiede all’amico Numonio Vala informazioni su Velia giacché il suo medico non gli consiglia più le acque calde di Baia (Epistole)

Cicerone (Lettere ai familiari) in una lettera inviata il 20 luglio del 44 a C. all’amico Trebazio Testa, parla della casa di villeggiatura con vista sul mare di cui fu ospite, in un luogo ameno e salubre, Velia appunto,  dove circolavano testi di medicina.

Plutarco racconta (Vita di Emilio Paolo) che Lucio Emilio Paolo si ammalò di una brutta malattia da cui non riusciva a liberarsi. Dopo che fu convinto dai medici, navigò verso Elea e lì soggiorno per un lungo periodo in una villa sul mare.

Plinio il vecchio (Storia naturale) riporta che nei vigneti di Velia cresceva una delle specie più rinomate dell’elleboro bianco, pianta usata per scopi medicinali.

La presenza dell’acqua caratterizza l’intera sistemazione urbanistica con la presenza di impianti termali, canalizzazioni, vasche, fontane e un santuario dove si faceva idroterapia, dedicato ad Asclepio (asklepieion). Del dio della medicina è stata rinvenuta una statua nell’insula II, databile prima metà del I secolo d.C.

Quest’ultima ed altri reperti (teste di medici con corona di alloro) sono state ritrovate nell’edificio del Triportico, un complesso monumentale utilizzato probabilmente anche come sede della scuola medica.

Terme Ellenistiche di Velia